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ORIANA FALLACI:(Da un'intervista)Ma � cos� difficile definire una fatica che ci appartiene. E poi si tratta di un libro cos� complesso, di un libro pieno di libri. Guarda, potrei dirti che � un romanzo ideologico: molti fra coloro che l'hanno letto sostengono che � anzitutto un romanzo ideologico. Ed � vero, senza dubbio � un romanzo ideologico.Potrei dirti che � un romanzo verit�: quasi tutti fra coloro che l'hanno letto lo definiscono un romanzo verit�. Ed � vero, senza dubbio � anche un romanzo verit�. Potr�i dirti che � un romanzo sul Potere e l'antiPotere: alcuni lo vedono come un romanzo sul Potere e l'antiPotere. Ed � vero, � anche un romanzo sul Potere e l'antiPotere.Per altri lo vedono come un romanzo classico, costruito come il romanzo inglese dell'Ottocento; altri come un romanzo moderno costruito con gli elementi della tragedia greca... Il fatto � che come ogni altra fatica, ogni altro lavoro, quando un libro � concluso vive di vita propria. E diventa ci che vi vedono gli altri. Non � pi� ci che l'autore voleva che fosse.Domanda: E tu, cosa volevi che fosse?Un libro sulla solitudine dell'individuo che rifiuta d'essere catalogato, schematizzato incasellato dalle mode dalle ideologie, dalle societ�, dal Potere. Un libro sulla tragedia del poeta che non vuol essere e non � uomomassa, strumento di coloro che comandano, di coloro che promettono, di coloro che spaventano; siano essi a destra o a sinistra o al centro o all'estrema destra o all'estrema sinistra o all'estremo centro. Un libro sull'eroe che si batte da solo per la libert� e per la verit�, senza arrendersi mai, e per questo muore ucciso da tutti: dai padroni e dai servi, dai violenti e dagli indifferenti. Oriana Fallaci � fiorentina e risiede a New York. Firenze e New York sono le mie due patriedice. I suoi libri sono stati tradotti in trentun paesi. Consegnandole la laurea ad honorem in letteratura, il rettore del Columbia College of Chicago la defin� uno degli autori pi� letti ed amati del mondo. Come corrispondente di guerra Oriana Fallaci ha seguito tutti i conflitti del nostro tempo, dal Vietnam al Medioriente, alla guerra del Golfo.Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla citt�, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! Vive, vive, vive! Un ruggito che non aveva nulla di umano. Infatti non si alzava da esseri umani, creature con due braccia e due gambe e un pensiero proprio, si alzava da una bestia mostruosa e senza pensiero, la folla, la piovra che a mezzogiorno, incrostata di pugni chiusi, di volti distorti, di bocche contratte, aveva invaso la piazza della cattedrale ortodossa poi allungato i tentacoli nelle strade adiacenti intasandole, sommergendole con l'implacabilit� della lava che nel suo straripare divora ogni ostacolo, assordandole con il suo zi, zi, zi. Sottrarsene era illusione. Alcuni tentavano, e si chiudevano nelle case, nei negozi, negli uffici, ovunque sembrasse di trovare un riparo, non udire almeno il ruggito, ma filtrando attraverso le porte, le finestre, i muri, esso gli giungeva ugualmente agli orecchi sicche dopo un poco finivano con l'arrendersi al suo sortilegio. Col pretesto di guardare uscivano, andavano incontro a un tentacolo e ci cadevano dentro, diventavano anche loro un pugno chiuso, un volto distorto, una bocca contratta. Zi, zi, zi! E la piovra cresceva, si spandeva in sussulti, a ciascun sussulto altri mille, altri diecimila, altri centomila. Alle due del pomeriggio erano cinquecentomila, alle tre un milione, alle quattro un milione e mezzo, alle cinque non si contavano pi�. Non venivano soltanto dalla citt�, da Atene. Venivano anche da lontano, dalle campagne dell'Attica e dell'Epiro, dalle isole dell'Egeo~ dai villaggi del Peloponneso, della Macedonia, della Tessaglia: coi treni, coi battelli, con gli autobus, creaturecon due braccia e due gambe e un pensiero proprio prima che la piovra li inghiottisse, contadini e pescatori con l'abito della domenica, operai con la tuta, donne coi bambini, studenti. Il popolo insomma. Quel popolo che fino a ieri t'aveva scansato, lasciato solo come un cane scomodo, ignorandoti quando dicevi non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno � qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libert�, la libert� � un dovere, prima che un diritto � un dovere. Ora ti ascoltavano, ora che eri morto. Dirigendosi verso la piovra portavano il tuo ritratto, cartelli di minacce e di sfida, bandiere, ghirlande di alloro, corone a forma di A, di P, di Z, A per Alekos, P per Panagulis, Z per zi, zi, zi. Quintali di gardenie, garofani, rose.E faceva un caldo atroce quel mercoled� 5 maggio 1976, il puzzo dei petali cotti appestava, mi toglieva il respiro quanto la certezza che tutto ci� non sarebbe durato che un giorno, poi il ruggito si sarebbe spento, il dolore si sarebbe dissolto nell'indifferenza, la rabbia nell'ubbidienza, e le acque si sarebbero placate morbide molli obliose sul gorgo della tua nave affondata: il Potere avrebbe vinto ancora una volta. L'eterno Potere che non muore mai, cade sempre per risorgere dalle sue ceneri, magari credi di averlo abbattuto con una rivoluzione o un macello che chiamano rivoluzione e invece rieccolo, intatto, diverso nel colore e basta, qua nero, l� rosso, o giallo o verde o viola, mentre il popolo accetta o subisce o si adegua.Per questo sorridevi quel sorriso impercettibile, amaro e beffardo?Impietrita dinanzi alla bara col coperchio di cristallo che esibiva la statua di marmo, il tuo corpo, gli occhi fissi al sorriso amaro e beffardo che ti increspava le labbra, aspettavo il momento in cui la piovra sarebbe irrotta nella cattedrale per rovesciarti addosso il suo amore tardivo, e un terrore mi svuotava insieme allo strazio. I portali erano stati sprangati, puntellati con sbarre di ferro, ma colpi irosi li scuotevano selvaggiamente e da invisibili brecce i tentacoli si stavano gi� insinuando. Si avvinghiavano alle colonne delle arcate, gocciolavano dalle balaustre del gineceo, si aggrappavano alle grate dell'iconostasi; intorno al catafalco s'era formato un cratere che di minuto in minuto diventava pi� angusto: per arginare la spinta che mi premeva ai fianchi, alla schiena, dovevo appoggiarmi al coperchio di cristallo. Questo era molto angoscioso perch� temevo di romperlo, caderti sopra e sentire di nuovo il freddo che mi aveva morso le mani quando all'obitorio ci eravamo scambiati gli anelli, al tuo dito quello che avevi messo al mio dito e al mio dito quello che avevo messo al tuo dito, senza leggi ne contratti, un giorno di gioia, ormai tre anni fa, ma non esisteva altro appiglio l� dentro: anche il cordone che all'inizio separava dal catafalco era stato succhiato via dalle ondate dei mitomani, dei curiosi, degli avvoltoi smaniosi di sistemarsi in prima fila per mettersi in mostra, recitare un ruolo nella commedia. I servi del Potere, anzitutto, i rappresentanti del perbenismo culturale e parlamentare, giunti facilmente al cratere perche la piovra si scosta sempre quando essi scendono dalle limousine, pregoeccellenzas'accomodi. E guardali mentre se ne stanno compunti coi loro doppiopetti grigi, le loro camicie immacolate, le loro unghie curate, la loro vomitevole rispettabilit�. Poi i bugiardi che raccontano di opporsi al Potere, i demagoghi, i mestieranti della politica lercia cio� i leader dei partiti con la poltroncina, giunti a gomitate non perche la piovra si rifiutasse di lasciarli passare ma perche li voleva abbracciare. E guardali mentre esibiscono la loro aria afflitta, si accertano di sotto le ciglia che i fotografi siano pronti a scattare, si chinano a deporre sulla bara le loro leccate di Giuda, appannare il cristallo con sbavature di lumaca. Poi coloro che chiamavi rivoluzionari del cazzo, futuri seguaci dei fanatici, degli assassini che sparano rivolverate in nome del proletariato e della classe operaia aggiungendo abusi agli abusi, infamie alle infamie, potere essi stessi. E guardali mentre alzano il pugno, gli ipocriti, con le loro barbette di falsi sovversivi, la loro grinta borghese di burocrati a venire, padroni a venire. Infine i preti, sintesi d'ogni potere presente e passato e futuro, di ogni prepotenza, di ogni dittatura. E guardali mentre si pavoneggiano nelle loro tonache oscure, coi loro simboli insensati, i loro turiboli d'incenso che annebbia gli occhi e la mente. In mezzo ad essi il Gran Sacerdote, il patriarca dellachiesa ortodossa che ammantato di seta viola, grondante di ori e di collane, di croci preziose, zaffiri rubini smeraldi, salmodiava ~Peonia im� tu es�. Eterna sia la memoria di te~, per nessuno lo udiva perche i colpi irosi ai portali si mischiavano ora agli schianti delle vetrate rotte, ai cigolii delle serrature che non reggevano all'urto, agli schiamazzi di chi protestava, al cupo frastuono della piazza dove il ruggito s'era fatto boato e, incollata alle pareti della cattedrale, la piovra reclamava impaziente che ti portassero fuori.D'un tratto esplose un tonfo spaventoso, il portale di centro cedette e la piovra trabocc� all'interno schiumando, rotolando i suoi getti di lava. Si levarono urla di paura, invocazioni di aiuto, e il cratere si strinse in un gorgo che mi scaravent� sulla bara per seppellirmi con un peso assurdo, perdermi in un buio nel quale si distingueva appena la sagoma del tuo visino pallido, delle tue braccia incrociate sul petto, e il luccichi'o dell'anello. Sotto di me il catafalco oscillava, il coperchio di cristallo scricchiolava: ancora un po'e si sarebbe frantumato com...
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